Chi visita il centro di Genova non può non notare le slanciate torri di Porta Soprana. Sono sicuramente uno dei simboli della città.
Situata in Piano di Sant’Andrea (viene chiamata infatti anche Porta di Sant’Andrea), fu eretta nel IX secolo d.C. e modificata negli anni precedenti al 1155, in occasione della costruzione della nuova cinta muraria detta “del Barbarossa”. È stata l’accesso principale alla città e ad oggi rappresenta una delle porte che introducono il turista nel centro storico di Genova.
Se inizialmente svolgeva una funzione difensiva, col tempo Porta Soprana è stata letteralmente inghiottita dall’espandersi della città e gli edifici arrivarono a toccare la parte esterna delle torri della porta (rimossi poi in età moderna). Un’abitazione fu addirittura costruita esattamente sopra all’arco della Porta, famosa per essere la casa dove abitò il figlio di quel Charles-Henry Sanson che passò alla storia per essere stato il “bourreau”, il boia, che aveva ghigliottinato il re di Francia Luigi XVI e la regina Maria Antonietta… ma non solo: tra le 2.918 teste che caddero nella cesta posizionata sotto la sua ghigliottina, ricordiamo anche quella di Robespierre o dell’astronomo Jean Sylvain Bailly. [Se l’argomento vi interessa abbiamo scritto un articolo sul cappio dorato reso famoso anche dalla canzone di De André]
Nell’Ottocento, quando il vicino convento di Sant’Andrea fu riconvertito in carcere, le torri di Porta Soprana svolsero anche la funzione di prigioni.
La Porta, come si presenta oggi, è frutto del restauro voluto e diretto da Alfredo D’Andrade, direttore della Soprintendenza di Belle Arti a Genova alla fine dell’Ottocento, che negli anni è intervenuto su tanti palazzi del nostro centro storico. E’ in questo periodo che la torre settentrionale viene ripristinata.
Negli anni 30 del Novecento, con la nascita di Piazza Dante, viene demolito Vico Dritto Ponticello e con esso la casa del figlio del boia che insisteva sulla torre meridionale di Porta Soprana, regalandola oggi ai turisti al suo antico splendore.