Buon lunedì!

Spero che tu abbia passato un buon Natale!

Visto che ci troviamo nel bel mezzo delle festività ho pensato di raccontare la storia di un dolce tipico della tradizione genovese, che in questi giorni starà sicuramente facendo la voce grossa a tavola: il pandolce detto anche “pan döçe” (o “pandùce” o ancora “pan Co-o zebibbo”).

A differenza di molti articoli scritti a tema, non vi annoierò parlando del confronto con il panettone, su quale sia il dolce più buono, più antico o su chi ce l’abbia più lungo…No, non mi interessa!

A me piacciono entrambi, ma essendo genovese sponsorizzerò sempre il pandolce 🙂

Le origini

Le prime testimonianze storiche riguardo alla comparsa di questa prelibatezza risalgono al 1558.

Andrea Doria, in occasione del matrimonio tra il nipote Gianandrea e la futura consorte, Zanobia del Carretto, promosse un concorso tra i pasticceri locali per realizzare un dolce degno delle nozze.

Fu così che nacque la prima ricetta ufficiale del pandolce, nella versione più alta.

In realtà sembra che le origini di questa pietanza siano molto più antiche.

Secondo lo storico Luigi Augusto Cervetto, il pandolce deriverebbe da un dolce persiano a base di frutta secca, pinoli e canditi. Probabilmente la Paska.

In effetti la frutta candita e l’uvetta sultanina sono ingredienti originari del Medio Oriente e, ripercorrendo la storia di Genova, i contatti tra la Superba e le civiltà mediorientali sono stati molteplici.

Basti pensare alla prima crociata nell’XI secolo, quando i soldati genovesi, guidati da Guglielmo Embriaco espugnarono Cesarea portando a casa il Sacro Catino.

Probabilmente i bottini di guerra, conquistati durante le discese in Terra Santa, non furono solo di natura materiale ma anche gastronomica.

All’apice della sua potenza, Genova espanse il proprio raggio d’azione navigando attraverso il mediterraneo e stabilendo snodi commerciali un po’ ovunque.

Ecco allora che non risulta difficile credere che i commercianti genovesi dopo aver gustato qualche prelibatezza mediorientale, abbiano provato a ricreare tali sapori una volta tornati a casa.

Il rito natalizio

La tradizione voleva che durante le feste natalizie il figlio più giovane portasse il pandolce, adornato da un rametto di alloro simbolo di fortuna e benessere, al capofamiglia a cui spettava il taglio, mentre la madre canticchiava questa filastrocca:

Vitta lunga con sto’ pan!

Prego a tutti tanta salute

comme ancheu, comme duman,

affettalu chi assettae

da mangialu in santa paxe

co-i figgeu grandi e piccin,

co-i parenti e co-i vexin

tutti i anni che vegnià

cumme spero Dio vurrià.

Il rito serviva a propiziare salute e benessere sotto la protezione del Signore.

Venivano conservate due fette, una donata al primo viandante o bisognoso che la famiglia incontrava, come simbolo di buon augurio, salute e fortuna. L’altra era conservata in occasione del 3 febbraio per onorare San Biagio, Santo protettore contro le malattie della gola.

Il rito si concludeva con la spartizione dell’ultimo boccone spettante ad ogni membro della famiglia, che dopo quaranta giorni poteva ancora assaporare tutta la fragranza del dolce natalizio.

Curiosità

Anticamente il pandolce veniva prodotto in una versione più alta rispetto a quella moderna, più simile al panettone, più morbido, lievitato naturalmente e meno ricco d’ingredienti. La versione “bassa”, più recente, è più elaborata ed ha un’alta percentuale di zucchero e burro. Vengono anche aggiunte le nocciole. Naturalmente ognuno ha la sua versione, con qualche variante, ma qui non siamo in un forum di cucina ;)…

Interessante un aneddoto legato alla frutta candita.

Il processo di canditura, di cui le popolazioni arabe furono precursori, permette di conservare la frutta immergendola in uno sciroppo di zucchero. Questo procedimento si rivelò fondamentale per prevenire lo scorbuto, una malattia che affliggeva chi intraprendeva lunghi viaggi per mare, causata dall’assenza di vitamina C. Prima dell’utilizzo di questo metodo era impossibile conservare frutta sulle navi, in quanto bene alimentare di facile deperibilità. La frutta candita, invece, poteva durare a lungo e consentiva ai marinai di mantenere una dieta equilibrata.

Come scritto in precedenza il pandolce ha tratti comuni con la paska, un dolce tipico della Persia e dell’Europa dell’est. Sembra che il rito del taglio, canzone a parte, appartenesse proprio alla tradizione persiana che vedeva il paggio più giovane portare il dolce, arricchito da un rametto d’alloro, al sovrano.

L’uva sultanina o uva passa, prende il nome dalla città di Sultania, oggi conosciuta come Sudak, nella penisola della Crimea, un tempo importante porto commerciale genovese e veneziano sulla via della seta.

 

Non potevo concludere senza inserire la ricetta…la trovi a questo link 🙂

Buon appetito!

Se ti è piaciuto l’articolo condividilo o metti un like alla pagina Facebook “Gli appartamenti di Ema” 🙂

Ci rileggiamo lunedì!

Stay tuned!