Oggi vorrei parlare un pò di storia e raccontare la rivolta del Balilla, del 5 dicembre 1746, avvenuta durante la guerra successione austriaca.

In quell’occasione il popolo genovese dette prova di grande coraggio, scacciando i dominatori austriaci e liberando la città.

La scintilla che fece scoppiare la rivolta fu innescata dal giovane Giovan Battista Perasso, meglio conosciuto come “il Balilla“, che iniziò a lanciare delle pietre sul contingente austriaco.

Ma vediamo di fare un pò di ordine nel racconto… 

La situazione geopolitica Europea e la guerra di Successione Austriaca

Partiamo dal contesto storico in cui è nata la rivolta. Siamo nel 1713.

Carlo VI o Carlo d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero, non avendo eredi maschi, stabilisce con la prammatica sanzione, il diritto alla successione anche per la discendenza femminile e abdica al trono in favore della figlia, Maria Teresa d’Austria.

Nel 1740, alla morte di Carlo VI, gli altri sovrani d’Europa, non riconoscono la legittimità della successione e iniziano a tessere brame di conquista.

L’instabilità politica genera un conflitto tra Maria Teresa D’Austria e i suoi alleati, Inghilterra, Olanda e Regno di Sardegna e il resto d’Europa, formato da Prussia, Francia, Spagna, Sassonia, Baviera e Regno di Napoli.

Il comandante Antonio Botta Adorno e la resa di Genova

La Repubblica di Genova che fino ad allora era rimasta neutrale, aveva aderito il primo maggio del 1745, all’alleanza ostile alla figlia di Carlo VI, Firmando il trattato di Aranjuez.

Genova non voleva la guerra, ma temeva le mire espansionistiche straniere.

Forte della nuova alleanza, la Superba si limita a dichiarare Guerra al Regno di Sardegna, il nemico più vicino.

Non ricevendo rinforzi dagli alleati, viene invasa dagli austriaci.

A capo delle truppe Austriache vi è Antonio Botta Adorno, figlio di un nobile genovese, condannato dal governo della Superba alla pena capitale e alla confisca dei beni.

Insomma…il ragazzo aveva un pochino il dente avvelenato…

Il 5 settembre del Gli austriaci si presentano alle porte della città, ottenendo la resa incondizionata di Genova senza colpo ferire.

Il comandante Botta Adorno impartisce delle condizioni durissime per l’armistizio: la consegna delle chiavi della città; il lasciapassare nel territorio alle truppe austriache; la consegna dell’artiglieria; l’obbligo per il doge e sei senatori di andare a Vienna a chiedere la grazia alla sovrana e soprattutto, il pagamento di tre milioni di scudi d’argento, circa sei vote il totale delle entrate cittadine annuali.

Alla faccia della resa…

La dead line per accettare era di solo 24 ore.

Il governo genovese accetta suo malgrado, pagando il tributo in tre trance. La prima entro due giorni, la seconda entro otto e la terza entro quindici.

Non avendo abbastanza denaro, Genova chiede uno sconto, ma “il Botta” non prende bene la controproposta, aumentando di un altro milione di scudi il tributo.

Si…aveva proprio il dente avvelenato…

Il dominio austriaco e la rivolta

Seguono mesi difficili.

La popolazione stremata dalle tasse dovute per i debiti di guerra vive in condizioni precarie, mentre i sodati austriaci spadroneggiano in città, maltrattando gli abitanti.

L’occasione per fare abbassare la cresta agli oppressori arriva il 5 dicembre.

Un contingente austriaco, intendo a portare un pezzo di artiglieria, attraverso il quartiere di Portoria, subisce un arresto.

Il mortaio resta impantanato nel fango.

Il comandante della guarnigione ordina ai cittadini di rimuoverlo.

Non ottenendo risposta, comanda ai soldati di utilizzare la forza per obbligare i cittadini ad eseguire gli ordini.

È cosi che un giovane ragazzo di 11 anni, esasperato dall’arroganza degli austriaci esclama “Che l’inse?“(“comincio io?”), dando inizio ad una sassaiola sui soldati.

Il gesto, è la scintilla che innesca la rivolta.

La folla inferocita si scaglia sui sodati mettendoli in fuga.

La voce si sparge: il popolo è sceso in campo, Genova è in rivolta.

Le sommosse durano tre giorni.

La popolazione, guidata dal garzone di osteria, Giovanni Carbone, si organizza nel Quartier generale del popolo (diventato poi Assemblea del popolo). Un vero e proprio governo, che il 9 dicembre stipula una tregua con Botta Adorno.

Nei giorni seguenti, non ricevendo aiuti, gli austriaci decidono di lasciare la città.

Carbone riconsegna le chiavi al Doge Francesco Brignole Sale, pronunciando la frase:

“Signori, queste sono le chiavi che con tanta franchezza loro signori serenissimi hanno dato ai nostri nemici, procurino di meglio custodirle, perché noi con il nostro sangue le abbiamo recuperate”

Scacciato momentaneamente il nemico, i genovesi si preparano a ricevere la contro offensiva austriaca.

La città viene fortificata con palizzate, mura e la creazione di una milizia cittadina.

Genova inizia così a respingere l’Esercito di Botta Adorno.

Nonostante qualche sconfitta, gli austriaci, complice l’arrivo degli alleati franco-spagnoli, giunti in soccorso della Superba, si ritirano lasciando definitivamente la città.

Una città libera e salva grazie al coraggioso intervento dei suoi abitanti.

Curiosità…

Le gesta del balilla vengono cantate anche nella quarta strofa dell’Inno di mameli: “i bimbi d’italia, si chiaman Balilla“.

La vera identità del balilla non è mai stata accertata.

Nel 1881, un’apposita commissione, istituita per questo scopo, dopo aver ascoltato le testimonianze degli anziani del quartiere di Portoria, che riportavano i racconti dei nonni, venuti a contatto con il Balilla, stabilì che a scagliare la prima pietra quel 5 dicembre 1746, fu Gianbattista Perasso, figlio di Antonio Maria Tintore di Seta, nato a Genova, nella Parrocchia di Santo Stefano, il 26 ottobre del 1735.

La Fiat dedicò un’utilitaria al Giovane, la 508 Balilla, mentre il regime fascista un sommergibile.

In piazza Portoria a Genova, di fronte al Palazzo di Giustizia è presente una statua dedicata al ragazzo.

La rivolta del Balilla

Le azioni del balilla furono sinonimo di spirito ribellione e italianità. Ispirarono i moti rivoluzionari dell’800, e nel 900 il regime fascista creò un ente con questo nome per l’educazione dei ragazzi.

La rivolta del Balilla

Insomma, la morale di questa storia è che ciò che per qualcuno potrebbe sembrare una bravata o un atto sovversivo, per altri è un gesto in grado di ispirare il prossimo a non abbassare la testa di fronte ai soprusi e a lottare per la libertà.

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Fonti

Giovanni Assereto, 1746, La rivolta anti austriaca e Balilla

Giovanni Carbone, Il garzone che umiliò il Doge: Dear miss Fletcher